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  • Immagine del redattoreProgetto Psicologia

Il Disegno di Legge Zan contro l’omotransfobia e il ruolo degli psicologi

Di recente abbiamo assistito al dibattito relativo alla “Legge Zan”, ovvero il Disegno di Legge contro l’omotransfobia, proposto dal deputato del Partito democratico Alessandro Zan.

Il DdL, depositato il 1 luglio u.s. alla commissione giustizia della Camera, propone la modifica degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, rispettivamente legge Mancino e Reale, che puniscono i reati e i discorsi d’odio fondati su caratteristiche personali quali la nazionalità, l’origine etnica e la confessione religiosa, mirando ad ampliare questo concetto e a individuare come atti discriminatori anche quelli basati “sul genere, orientamento sessuale o identità di genere”.

Se dunque il DdL dovesse essere approvato, nella fattispecie dei reati d’odio rientrerebbero anche quelli legati alla sfera sessuale in senso lato e sarà sanzionato sia chi commette gesti e azioni violenti di stampo omotransfobico sia chi istiga a compierli.

Nel testo viene proposta l’istituzione di una giornata nazionale contro l’omotransfobia (17 maggio) e la creazione di un fondo dedicato ai “centri antidiscriminazione e case rifugio” che offrono assistenza sanitaria e psicologica alle persone che, a causa del proprio orientamento sessuale, non riescono a trovare lavoro, non hanno casa o hanno subito violenze. A questo si aggiungono attività culturali, in contesti lavorativi e scolastici, e un monitoraggio condotto dall’Istat sull’andamento dell’omotransfobia nel nostro paese.

La necessità di istituire l’omotransfobia come reato specifico nasce da fatti di cronaca discriminatori e violenti rivolti alle persone LGBTQI+ che, ad oggi, sono ancora vittime di stereotipi socio-culturali che le definiscono “malate” e “contronatura”.

Le discriminazioni più gravi spesso si verificano proprio nelle famiglie che non accettano che un* propri* figli* sia omosessuale o non si riconosca nel sesso/genere biologico.

A tal proposito, laddove venga richiesto un aiuto psicologico, spesso si chiede al professionista di intervenire per “correggere” l’orientamento del* propri* figli*.

Il codice deontologico degli Psicologi italiani, all’articolo 4, è molto chiaro in tal senso: “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.

Contro le terapie riparative si è espressa da tempo l’Associazione Americana di Psichiatria (APA) e, concorde con associazioni scientifiche ed enti di tutto il mondo, raccomanda a psicologi e psichiatri di affrontare il malessere accusato da alcune persone omosessuali con terapie supportive, accoglienti e non giudicanti. Alla base di tale disagio ci sarebbe infatti un conflitto interno tra l’orientamento sessuale e il contesto socio-culturale cui la persona appartiene – spesso tuttora affetto da discriminazioni e disapprovazione sociale – in grado di indurre nell’individuo uno stato di omofobia interiorizzata che svaluta pesantemente l’immagine che ha di sé, causando imbarazzo, vergogna, colpa e tendenze suicide.

Diventa allora eticamente necessario per i professionisti indirizzare la persona verso la consapevolezza di tale conflitto, aiutandola a superarlo e così liberarla da condizionamenti inconsapevoli e autodistruttivi. Dott.ssa Paola Amato

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